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martedì 16 aprile 2013

BANCHE, ITALIA-GERMANIA: E SE STESSIMO MEGLIO NOI?

Se ne parla poco ma a livello di Bce è in corso un passaggio delicato su una questione decisiva: l'uniformità in tutta Europa della vigilanza bancaria. Da una parte tira Draghi, dall'altra le banche tedesche oppongono una inattesa resistenza. Si capisce che è difficile parlare di queste cose in un momento in cui, a livello mediatico, la reputazione delle maggiori banche italiane è ai minimi storici. Però alcuni dati erano già noti e non contestati. Ad esempio che le banche italiane soffrissero da tempo uno svantaggio competitivo rispetto alle loro concorrenti straniere che si traduce in un sensibile gap sui costi del credito concesso, soprattutto, in Italia, alle piccole e medie imprese. E nella minore libertà di azzardare operazioni all'estero più agevoli per controlli meno ossessivi. In più a pochi è noto che il famoso segreto bancario in Italia non esiste più mentre resiste in alcuni paesi addirittura della Ue che poi guarda caso fungono da polo di attrazione per le imprese italiane costrette ad emigrare. In Italia le grandi banche sono nel mirino, tra le altre cose, in quanto gestite dalle fondazioni bancarie governate dalla politica. Nell'insospettabile Germania sembra che perfino a livello regionale esistanto banche locali pesantemente colluse con la politica per comportamenti e finanziamenti non del tutto trasparenti. Unificare l'Ue dal punto di vista bancario significherebbe rivoltare, in maniera imbarazzante, questo macigno, scoprendo, magari, che in Europa ogni mondo è paese (ivi compresa la severissima Germania). Certo, crollerebbe un mito per molti.In Italia però questa battaglia sul processo di unificazione europea delle banche, che provocherebbe clamorose conseguenze sulle regole e sul sistema di vigilanza, sembra interessare pochissimo quei sindacati bancari che antepongono gli interessi dei loro amici di partito (politici locali e banchieri fedeli) al risanamento e al rilancio competitivo delle nostre aziende bancarie. Con i risultati (sia in termini penali che occupazionali) che stiamo ammirando in questi giorni

giovedì 11 aprile 2013

AL VIA A MILANO IL PROCESSO PER L'AVVELENAMENTO DI UN FARMACISTA DA PARTE DI UN IMPRENDITORE DELL'AUTOTRASPORTO: IPOTESI INQUIETANTI AL VAGLIO DEI GIUDICI


Molti ricorderanno il fatto di cronaca che ebbe qualche tempo fa risonanza nazionale. L'anomalo omicidio, tramite avvelenamento, da parte di un imprenditore in difficoltà dell'”amico” farmacista.
La vicenda torna alla ribalta (lo testimonia l'articolo apparso ieri sulla cronaca milanese di Repubblica e che qui riportiamo) perchè è arrivato il momento dell'inizio del processo. Saranno i giudici a dirimere la questione e non sarà un compito facile. Certo, la linea difensiva dell'imprenditore scelta da parte dell'Avvocato Andrea Benzi, del Foro di Milano, se le gravi ipotesi che innanzitutto la Squadra Mobile ha avanzato (delitto consumatosi all'interno di un giro di usura in cui sono coinvolti anche pregiudicati appartenenti a clan mafiosi) saranno confermate dai giudici , non potrà non dipingere anche un preoccupante affresco delle condizioni nelle quali la piccola impresa oggi si trova a operare nel nostro Paese, in particolare al nord. L'imprenditore, Gianfranco Bona, era a capo di una impresa dell'autotrasporto che contava una ventina di dipendenti. Il nostro Sindacato, l'AGL, si è adoperato in prima persona, nei mesi scorsi, tramite accordi individuali stipulati in sede sindacale, affinchè per i lavoratori fosse garantita una uscita indolore dall'azienda ormai cessata e a rischio di fallimento. Una vicenda amarissima che dimostra come due questioni, pur da tempo all'ordine del giorno della polemica politica (le Pubbliche Amministrazioni che non saldano i propri debiti con le imprese fornitrici e il ruolo sconcertante da parte del sistema bancario nel creare più difficoltà possibili al sistema delle imprese e ai suoi lavoratori) irrisolte per mancanza di volontà da parte di chi ha governato finora il Paese, stanno mietendo vittime (pensiamo ai suicidi) tra imprenditori, professionisti e soprattutto i lavoratori e le loro famiglie che finiscono sul lastrico. In Italia si suol dire che il potere pubblico si muove tardi sulle situazioni più a rischio e solo quando ci scappa il morto. Ecco, qui non solo i morti ci sono da mesi ma abbiamo l'impressione che un po' tutti ci stiamo facendo l'abitudine. Non solo quindi un paese in decadenza per la crisi globale ma, purtroppo , un'Italia che sta sempre più sprofondando nell'indifferenza, nella violenza e nella barbarie. Inutile dire che se è la mafia l'unico prodotto italiano per il quale va a gonfie vele sia l'esportazione (valga a dimostrarlo l'ultimo libro di Saviano in cui si osserva che il modello italiano è sempre più il punto di riferimento per le più spietate cosche nel mondo) sia il mercato interno (assieme all'usura può entrare nelle vite di tutti, come questo fatto di cronaca conferma) allora sono in pericolo la convivenza civile e la democrazia. E significa pure che la spinta propulsiva delle vecchie associazioni anti mafia e anti usura forse si è esaurita e finalmente è arrivata l'ora che ogni partito, ogni sindacato (come noi dell'AGL), ogni organizzazione datoriale, ogni ordine professionale debba prendere in mano queste bandiere, senza più delegarle ad avanguardie solitarie.